UVOLE
A
me la pianura mette ansia. La trovo noiosa. Non si hanno punti di riferimento.
Mancano le colline e le montagne che ti dicono fin dove è casa
tua. Per me Biella è il Mucrone. Mi piace questa montagna, le
sono affezionato. Quando viaggio nella bassa, quando sono in aereo e
sorvolo il Biellese, lo cerco e lo saluto idealmente. Lo vedo tutte
le mattine quando apro la finestra della mia camera da letto. Mi dà
il buongiorno, discreto e presente. L'unico cruccio è che qualche
"precisino" ci tiene a sottolineare che le nostre montagne
non sono le Alpi ma sono le Prealpi. Roba insomma poco seria. Che venga
questa gente a sciare al Camino, che faccia la "Busancano",
che ci segua giù per il "Malpërtus". Altro che
Prealpi!!
Io sono cresciuto mezzo a Pettinengo e mezzo a Biella, in periferia,
rione Borgonuovo.
A Pettinengo c'erano i miei nonni paterni , i boschi, i "tavan"
che ti mordevano quando andavi ai funghi, la mia amichetta Monica con
la quale giocavo alla Freccia Nera che avevano girato al Ricetto di
Candelo
. Sibila il vento la notte si appresta e la cupa foresta
minacciosa si fa - La freccia nera fischiando si scaglia e la sporca
canaglia che il saluto ti dà
... Discussioni di ore per
chi dovesse fare Dick Shelton.
A
Biella, al Borgonuovo, c'erano prati, vigne, campi di meliga, le marcite
che venivano sommerse dall'acqua delle rogge che sapeva di fognatura.
Vicino a casa c'erano i cantieri delle case in costruzione da esplorare
e da saccheggiare, gli altri bambini, gli stivali di gomma e le braghe
corte, le biciclette, gli archi e le frecce, le capanne, i giornalini
porno che trovavi in giro, le "guerre" e le scorribande fino
al Fontanone. Adesso al Fontanone - dietro al Cottolengo - ci stanno
costruendo l'ospedale nuovo. So che durante i lavori si sono stupiti
di aver trovato tanta acqua che ha rallentato e fatto lievitare il costo
dell'opera. Ma secondo voi perché quel posto si chiamava il Fontanone?
Mio
nonno Pierino di Pettinengo faceva il bagno ogni sabato mattina. Mi
affascinava il colore dell'acqua nella vasca dopo che si era lavato.
Era grigio verde e quando la vasca si svuotava rimaneva la linea della
"cracia". Guardavo l'acqua scendere a poco a poco con un misto
di rispetto e di repulsione. Mio nonno era stato il capo officina della
Bellia. Lavorava sempre anche quando era in pensione, era sempre lì
che aggiustava qualcosa. Quando fondeva lo stagno per farne dei panetti
che probabilmente non servivano a niente, si passava la fiamma ossidrica
sulle braccia e si bruciava i peli. Si sentiva odore di pollo arrosto
ed io pensavo che mio nonno era davvero un vero uomo.
Mio
nonno Luigi abitava in Via Italia, all'ultimo piano di una casa di barriera
che dava anche su Piazza Primo Maggio. Era vedovo. Prima di andare in
pensione lavorava in una tessitura di Vigliano. Quando nei fine settimana
dormivo lì, mi ricordo che il lunedì mattina sotto alla
mia finestra c'erano i marghè, che si trovavano perché
c'era "al marcà dal lu-nes". Mio nonno era gentile,
bravo, un bell'uomo distinto ed elegante col pizzetto grigio e la testa
pelata. Quando andavo a trovarlo dopo la scuola, se avevo preso un bel
voto, mi regalava 100 lire e mi dava un pezzo di cioccolata ed un bicchiere
di spuma. Mia madre mi raccontava che era sempre tanto sbadato e che
un giorno era uscito di fretta mettendosi la giacca con l'omino incorporato.
Lei l'aveva incontrato per Via Italia e lui se ne andava in giro con
la stampella sulle spalle come se niente fosse
. ma forse questa
è solo una storia di mia mamma.
D'estate
si apriva la caccia. Prima preda i "pista pistun". Ce n'erano
tantissimi. Stavano sui pali dell'orto, sui lunghi fili d'erba, sulle
recinzioni. Ti avvicinavi pian piano, da dietro e li prendevi per le
ali. Poi la fantasia omicida cominciava. Ne prendevi due, gli legavi
le code ai capi di un filo per cucito e li lasciavi per vedere dove
sarebbero andati e chi dei due avrebbe tirato l'altro.
Gli infilavi un filo d'erba nella coda e li mollavi. Li facevi combattere
uno contro l'altro tendendoli per le ali
. si mordevano con quei
grossi "denti" e ce n'era sempre uno che mangiava l'altro.
Li "aprivi" semplicemente per vedere come erano fatti dentro.
I più previdenti li mettevano dentro ai vasetti di vetro della
marmellata; poi lasciavi il vasetto al sole mentre ne cercavi altri
e ti sorprendevi che nel frattempo fossero morti. La sera i superstiti
migravano e passavano davanti al mio balcone a frotte; " vanno
a dormire " pensavo io.
I grilli li facevi uscire dalle tane stuzzicandoli con un filo d'erba.
Gli orbettini venivano lapidati e poi finiti a bastonate; i più
coraggiosi li prendevano in mano.
Le lucertole si cacciavano con la fionda. Per cerbottane usavamo i tubi
di plastica nera per gli impianti elettrici rubati nei cantieri. I dardi
erano dei coni, lunghi, stretti ed appuntiti che facevamo arrotolando
strisce di carta patinata rubata delle riviste delle nostre mamme, tipo
Intimità e Confidenze. In alternativa si usavano le bacche viola
del sambuco, che chiamavamo "macchiogeni". La caccia con le
cerbottane si rivolgeva ad altre specie animali; i guidatori dei motorini
che passavano lungo la Via Cottolengo. Ci appostavamo dietro ai muri
e quando passavano venivano bersagliati. Qualcuno si fermava e tornava
indietro e noi, a gambe levate, ripiegavamo tatticamente. Avevamo troppi
nascondigli; non ci beccavano mai!
Intorno
alla scuola elementare del Borgonuovo c'erano solo campi di meliga.
Si andava a scuola a piedi, da soli. Io avevo la Vincenzina Calabrese,
che era la maestra più severa - lo dicevano tutti. Aveva una
bacchetta di legno con la testa a forma di becco d'uccello, tutta avvolta
in nastro isolante giallo e verde. La bacchetta era così lunga
che lei, senza alzarsi dalla cattedra, beccava tranquillamente tutte
le teste della classe. Aveva una mira incredibile. In classe avevamo
sempre qualche bambino del Cottolengo. Erano orfani? I genitori non
potevano mantenerli? Erano in affido? Non mi ricordo. Mi ricordo che
avevano un odore strano, diverso dal nostro, che erano sempre un po'
tristi e che non avevano la merenda. Lo dissi a mia madre e da quel
giorno avevo sempre qualche merenda in più. Mi ricordo due nomi;
Marengo e De Rosa.
Erano dei bravi bambini
. chissà che fine hanno fatto?
L'austerity
a me sembra sia durata un casino. Sotto casa la Via Cottolengo, fino
ad allora proibita perché pericolosa, era diventata nostra. Nuovi
territori da esplorare. Ci andavi a piedi, con i pattini, in bici. Semplicemente
ti fermavi a guardare il gioioso traffico che c'era. Un esproprio proletario
in piena regola.
Quando
nevicava, nevicava per davvero. Mi ricordo con la 500 di mio papà
su per Bielmonte tra due muri di neve. Oppure ad Oropa il "burnel"
che spunta a malapena, sommerso dalla coltre bianca. Io speravo sempre
venissero giù tre metri di neve per non andare a scuola.
Mi
ricordo l'Ormezzano al Rally della Lana che guidava con una mano sola
e salutava la gente nei tornanti, con la macchina completamente di traverso.
E la voce inconfondibile del Perazio. Ma soprattutto mi ricordo le sere
prima del Rally, quando mezza Biella, con le 500, le 850 e le Simca,
faceva le prove lungo le strade delle "speciali" e qualcuno
"provava" anche qualche muretto o qualche ripa.
Mi
ricordo Pertini ad Oropa. Ero andato in moto a vederlo. Avevo i capelli
lunghi e una giacca militare dei paracadutisti, quelle mimetiche con
tutte le chiazze verdi, marroni e beige. Nessuno mi prese per un attentatore.
Pertini mi era simpatico.
Mi
ricordo la notte di Vermicino. Mio nonno, la sera, spegneva la tele
alle 10 e si andava a dormire. Quella notte restammo alzati fino a mezzanotte
- forse più tardi - per vedere cosa succedeva. Mi ricordo che
si calava quell'omino piccolo piccolo nel foro del pozzo, legato per
le gambe. Ritornò su che piangeva; non ce l'aveva fatta e Alfredino
morì.
Una
volta davanti ai giardini non c'era il CdA. C'era il piazzale sterrato
della "ex stazione. Era una spianata dove si faceva la Fiera e
dove ogni tanto arrivava il Circo. Per il resto del tempo veniva usata
un po' come parcheggio e un po', nelle ore serali, come palestra per
aspiranti rallysti. La gimcana tra i suoi pali della luce era una specialità
tutta biellese, così come le "derapate", divertenti
sullo sterrato ed entusiasmanti quando c'era la neve. Non dimenticherò
mai quando un pilota più "fenomeno" degli altri si
accartocciò letteralmente attorno ad un palo della luce, fortunatamente
senza gravi conseguenze, davanti alla folla che gremiva lo Chalet per
il gelato serale e che tributò al mancato Munari (allora era
lui il più forte) una sarcastica ovazione.
I
giardini erano il punto di ritrovo della città. Si prendeva il
gelato; mi ricordo che costava 50 lire. La sera era pieno di gente.
C'era lo Chalet, il Garden, Jeantet, il Beni e, poco lontano, alla fine
di Via Torino, il Coggiola.
I pensionati, di giorno, parlavano di politica e della Biellese, che
era in serie C e che " fin-na st'an la va nen sü ! ".
Oggi il gelato si prende un po' ovunque in città ed ai pensionati
si sono aggiunti nuovi arrivati che difficilmente parlano di sport e
politica, ma che magari, in lingue che non capiamo, discutono di fatti
più importanti e magari con un po' di malinconia. Questo pezzo
di città oggi forse è più bello e moderno
.
però. Però io non posso nascondere un pizzico di nostalgia
per quello che una volta era questo vecchio polmone verde e cioè
il punto di incontro e di riferimento per molti, forse l'unico che la
città aveva. Di certo il più bello ed il più amato.
La piazza di paese, la "Piazza Grande" che Biella non ha mai
avuto.
Mi
ricordo le discoteche: il Charlie Brown, il Melody Maker, l'Hurricane
a Ponderano, la Vallese a Valle San Nicolao, il Cristallo poi Disclub
a Occhieppo Inferiore.
In certi posti dovevi stare attento perché ti potevano menare;
giravano Cecè, Natale, Sciascia, Ferrise e compagni vari.
Poi c'erano i posti alternativi, dove non giravano i cremini o i "truzzi":
il Tramway, la People's House a Vigliano , le Tre Vedove ad Andorno,
l'Adelina a Sordevolo. E il Balabiut dove vendevano vestiti usati. Chi
era fortunato aveva "la tampa" in Riva o al Vernato per portarci
le ragazze.
Sui muri leggevi "Renato Libero". Io ai geometri entrai nel
collettivo anarchico. Andavo particolarmente fiero dello slogan che
avevo inventato prima di uno sciopero; avevamo preparato un fantoccio
appeso per un cappio con un cartello con su scritto "l'abbiamo
impiccato perché è un decreto delegato". Sinceramente
non sapevo proprio bene cosa fossero 'sti decreti delegati, ma se si
faceva sciopero non si andava a scuola quindi
.
Al Piazzo c'era Radio Tupamara. Iniziai a preoccuparmi quando nelle
riunioni del collettivo un tipo particolarmente scaldato (che oggi è
uno stimato imprenditore con stile decisamente borghese), diceva "
compagni, noi dobbiamo fare la rivoluzione ". Io sinceramente non
volevo fare nessuna rivoluzione; ero più interessato alle grazie
di qualche "compagna" carina. Mi preoccupai ancora di più
quel giorno che, mentre stavamo strappando i manifesti dell'MSI durante
la campagna elettorale, arrivarono i "fasci". Proprio una
"compagna" carina, in previsione della rissa, pensò
bene di passarmi un paio di forbici. Furono momenti difficili perché
mi trovai davanti agli altri con 'ste forbici in mano. Fortunatamente
ci insultammo solo e non ci picchiammo. Il giorno dopo però un
simpatico gruppo del Fronte della Gioventù mi aspettava fuori
da scuola. Svicolai e mi andò bene. Quelli più grandi
invece si menavano per davvero. In Via Italia Coda Cap, Cavallo, Ferrari,
Fiorina, Renato Cornacchia, la Ritona ed altri se le diedero di santa
ragione.
C'erano
i personaggi mitici. Il Bettega che si prendeva a schiaffi. Il Commissario
con l'impermeabile, che faceva finta di telefonare e di dirigere operazioni
di polizia. Il Balocco, che aveva l'edicola vicino alla mutua, e se
andavi a prendere l'Eco di Biella si arrabbiava e non te lo voleva vendere
perché " l'è al giurnal dai padrun ". Il Grometto,
"al Grumet", che girava sempre con la bici da corsa. Il vigile
Monformoso che, come salivi in due sul motorino, si materializzava,
ti beccava e ti faceva la multa e un bel cazziatone. E poi, più
recentemente, l'Augusto, che hanno ammazzato di botte sotto i portici
della Standa.
Mi
ricordo Telebiella. Prima la vedevano solo quelli via cavo. Poi la vedevamo
anche noi. Mi ricordo Peppo Sacchi che intervista il Pippo di Candelo
e gli dice che ha capito tutto dalla vita perché, per lui, uomini
e donne sono lo stessa cosa e quindi non ha che l'imbarazzo della scelta.
Io
sono socialista. So che non sta bene dirlo ma è così.
Quando mi sono iscritto al PSI, sul finire degli anni '80, non avevo
ben chiaro cosa fossero le correnti. Ero giovane e seguii, nel partito,
chi mi aveva accolto con un po' di considerazione. Non lo sapevo ma
ero diventato un "lombardiano". Una sera mi dissero che c'era
una riunione. La sede del Partito era in Via Gramsci. Alle 21 salii
negli uffici al secondo piano e mi ricordo che c'era un centinaio di
persone; qualcuno mi guardava strano. Il segretario mi venne incontro
e mi chiese che ci facevo lì; dissi " sono qua per la riunione
". Eugenio mi disse che avevo sbagliato riunione; quella era la
riunione dei "miglioristi", dei craxiani insomma. La mia riunione,
quella della sinistra del partito, era al piano di sotto. Ci ritrovammo
in sette, me compreso, negli scantinati del palazzo. Capii quasi subito
che non avrei fatto carriera. Poi un po' di carriera l'ho fatta, non
per merito, ma perché tra uno scandalo sessuale e tangentopoli,
un po' di gente fu costretta a dimettersi. Nel 1990, alle elezioni amministrative,
ero risultato il quinto degli esclusi per il Consiglio Comunale. Dopo
due anni e mezzo in Consiglio ci entravo a causa dei tanti avvicendamenti.
Mi ricordo il titolo de "Il Biellese" dopo la mia prima intervista
" In consiglio entra Canuto ed è subito polemica ".
Non mi ero consultato con nessuno ed ero andato a ruota libera suscitando
le ire del Partito. Se il buongiorno si vede dal mattino
Per
me Biella ha iniziato a cambiare quando Squillario, durante il suo mandato
di sindaco, ha demolito la "cassia da mòrt", i bagni
pubblici in Via Arnulfo ed il chiostro del convento retrostante. I blitz
di Squillario erano fenomenali; dava un po' di verve alla città,
altrimenti sonnacchiosa. Ci faceva le sorprese. La sera facevi due passi
e la "cassia" era lì al suo posto, con la sua forma
curiosa e caratteristica, il giorno dopo non c'era più niente.
Grande sindaco lo Squillarlo!
Poi
arrivò una banda di giovani catapultati ad amministrare la Città
dopo gli sconquassi di tangentopoli.
Un po' con l'incoscienza, un po' con la fantasia, qualche blitz l'abbiamo
fatto anche noi. Quando ho fatto la prima rotonda, nell'incrocio dell'ITI,
la gente dei palazzi circostanti, la sera, non guardava la tele; si
metteva sul balcone e guardava la rotonda. O meglio guardava le macchine
che la facevano contromano, quelli che si bloccavano e non sapevano
più cosa fare, quelli che, avendo viaggiato all'estero, educavano
gli altri a suon di clacson. Lo spettacolo era assicurato. In seguito
forse ho un po' esagerato, lo ammetto. Ma state tranquilli, è
quasi venuto il momento di smettere.
Gli
italiani all'estero li riconosci dalle scarpe. I biellesi, per Biella,
li riconosci dalla velocità di crociera. Se vedi qualcuno correre
sta sicuro che è uno di Biella. Quelli che camminano normale
o sono dei "posapiano" o vengono da fuori, dove si vive e
si lavora con ritmi umani. Chi "juma sempi pressa". Si deve
produrre gente!
In
ultimo voglio parlare di mia moglie. Ci siamo sposati al Duomo, dove
fui battezzato. Quando Don Gariazzo ha detto " scambiatevi un segno
di pace " lei ha scambiato un segno di pace con il sottoscritto.
Poi ha iniziato a scambiare segni di pace con i testimoni dello sposo,
con i testimoni della sposa, con i genitori dello sposo, con i genitori
della sposa, con i parenti dello sposo, con i parenti della sposa, con
gli amici dello sposo, con gli amici della sposa ed anche con un passante
che era entrato in chiesa per curiosare e con il sacrista. Insomma si
è fatta tutto il giro del Duomo. Ha baciato ed abbracciato proprio
tutti. Insomma, tutti eravamo in pace. Ho dovuto inseguirla e riportarla
all'altare perché dovevamo finire di sposarci. E' stato il gesto
più dolce che io abbia visto durante un matrimonio e Daniela
é la persona migliore che io abbia mai incontrato. A lei dedico
queste righe.
Ho
scritto di getto quello che mi veniva in mente; ricordi come fossero
nuvole che passano nel cielo. Qui a Biella, nel Biellese, ho vissuto
e conservo le cose più belle.
Se mi chiedessero di descrivere i biellesi non mi verrebbero aggettivi
particolari. Forse non siamo tanto allegri e spensierati, forse siamo
un po' chiusi ed orsi, forse siamo un po' con le "braccina corte",
forse pensiamo troppo al lavoro, forse non "sappiamo fare squadra".
Girando un poco il mondo e conoscendo tanta gente, come mi è
capitato di fare, mi sembra di poter dire che non siamo né migliori
né peggiori di altri.
Siamo insomma normali e credetemi, con i tempi che corrono, poter essere
normali è una grande fortuna!